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La strage del Lago Maggiore. Una lenta emersione

31 gennaio 2024

In occasione dell’80mo dell’eccidio degli ebrei sul Lago Maggiore, all’interno di una molteplicità di iniziative coordinate dall’ANPI di Novara e che hanno coinvolto vari enti e tutti i comuni coinvolti negli eccidi del settembre-ottobre 1943 (Zakhor–Ricorda), alla Casa della Resistenza si è tenuto il Convegno internazionale Storie memorie oblio (13-14 ottobre 2023).

Quale documentazione abbiamo preparato per i partecipanti una bibliografia cronologica che poi ho presentato e commentato nel mio intervento (La strage del Lago Maggiore. Una lenta emersione fra giornalismo, storia locale e familiare) utilizzando delle slide di presentazione. Quella che segue è una ricostruzione del mio intervento cui seguono i due link che permettono di visualizzare sia la Bibliografia cronologica (oltre 200 titoli) che la Presentazione (36 slide)[1].

L’annuncio alla radio, la sera dell’8 settembre ‘43 dell’Armistizio di Cassabile firmato cinque giorni prima, provoca (come in tutta Italia) tra i residenti e i numerosi sfollati presenti nell’area dei tre laghi Maggiore, Mergozzo ed Orta (area settentrionale dell’allora Provincia di Novara) una iniziale euforia incoraggiata il giorno successivo del titolo cubitale “LA GUERRA è FINITA” sul quotidiano La Stampa. Il tragico equivoco viene rapidamente smentito nei giorni successivi con l’arrivo e l’occupazione del territorio da parte della Panzer-Grenadier Division Waffen-SS “Leibstandarte Adolf Hitler”.

Cosa ha comportato quella occupazione tedesca oggi è sufficientemente noto: la ricerca e uccisione degli ebrei presenti con almeno 58 vittime in nove località (Baveno, Arona, Meina, Orta, Mergozzo, Stresa, Pian Nava, Novara, Intra). Una strage che si voleva tener nascosta e che è emersa lentamente con periodi veri e propri di oblio e il riemergere dell’attenzione in periodi particolari come i processi di Torino e Osnabrück che hanno coinvolto alcuni dei responsabili, e dal cinquantenario dell’eccidio nelle ricorrenze decennali.

Quello che oggi soprattutto sconcerta è che di questa strage si sono occupati soprattutto i giornalisti e, sui singoli episodi, storici locali e testimonianze di sopravvissuti e familiari delle vittime. Quello che manca è una ricerca storica complessiva da parte di storici professionisti tanto che anche nei manuali e nelle sintesi storiche del periodo o non se ne parla o vi si accenna con poche righe.

1943 – 1946. “Scomparsi nel nulla” ma non nel silenzio!

È l’Avanti! edizione clandestina piemontese del 30 settembre a dare per prima notizie sugli eccidi all’interno di «una triste cronaca» della occupazione tedesca dopo l’8 settembre. Sia pur con imprecisioni, frutto evidentemente di passaparola, vengono citate le stragi di Mergozzo, Arona e Stresa:

Nella provincia di Novara i nazisti hanno dato la caccia agli ebrei, uomini donne e bambini, con accanimento e ferocia. Due ne hanno ucciso a pugnalate presso il lago di Mergozzo, uno lo hanno arso vivo dopo averlo cosparso di benzina nei pressi di Arona, altri hanno rinchiuso nei locali delle scuole di Stresa e poi, fatti salire in barca di notte, hanno massacrato e gettato nel lago.

Piccoli innocenti restituiti cadaveri dalle acque del Lago Maggiore, uomini e donne per ogni dove in Italia trucidati dalla barbarie nazista.

Altre informazioni vengono riportate il 4 e 18 ottobre nell’edizione milanese della stessa testata con riferimento a Baveno e Stresa.

Il 30 ottobre: l’organo clandestino del Partito d’Azione, «L’Italia Libera», nella edizione romana riporta questa breve cronaca:

Cronache italiane, Eccidio di ebrei sul Lago Maggiore:

«A Meina (Lago Maggiore) la soldataglia tedesca fece irruzione, nella notte dal 3 al 4 ottobre, in un albergo dove alloggiavano 14 italiani ebrei, nella maggior parte donne e bambini. Dodici di essi furono portati in riva al lago e lì sgozzati e buttati in acqua. Gli altri due che erano riusciti a scappare furono inseguiti, raggiunti ed arsi vivi con un lanciafiamme».

L’organo clandestino della Federazione milanese del PCI, «La Fabbrica» del successivo 25 novembre, in una pagina, titolata «Rendere la vita impossibile all’invasore» riporta una diffida nei confronti di Pietro Columella, Podestà di Baveno, accusato di aver consegnato ai tedeschi “le liste degli ebrei”.

Queste della stampa clandestina sono notizie frammentarie, incomplete e imprecise, a diffusione di necessità limitata, che comunque testimoniano che non tutto è passato sotto silenzio. Tanto che la notizia degli eccidi viene ripresa oltre confine.

Il 23 Ottobre 1943 la testata «Libera Stampa» di Lugano, giornale del Partito Socialista elvetico, all’interno di una corrispondenza da Chiasso si sofferma, anche qui con qualche imprecisione, sugli eccidi del Lago Maggiore:

Particolarmente nefandi sono stati gli eccidi della zona piemontese del Lago Maggiore: ad Arona, Meina, Stresa, Suna, Pallanza, tutte le famiglie di ebrei sono state arrestate, e non se ne sono potute avere più notizie; molti sono stati barbaramente trucidati, numerosi cadaveri seviziati sono stati trovati nelle campagne e nel lago; tra questi le famiglie di alcuni noti professionisti e di un dirigente della Pirelli di Milano.”

È nell’immediato dopoguerra che compaiono dettagliati reportage sull’insieme degli eccidi: il 1° luglio del ’45 su L’Opinione di Torino e dal 9 dicembre dello stesso anno tre documentati articoli di Nino Gazzale su La Gazzetta d’Italia (alias Gazzetta del Popolo) dove, tra l’altro, si parla per la prima volta anche dell’eccidio a Intra della famiglia Ovazza. Dal 28 dicembre successivo gli stessi articoli, suddivisi qui in cinque puntate, vengono ripubblicati sul giornale romano Il Momento. Giornale del popolo permettendo una conoscenza ampia degli eccidi al di là dell’ambito piemontese e lombardo. Gazzale non riporta le sue fonti a parte quella, citata in due passaggi, del giornalista e scrittore Sabatino Lopez[2].

Vengono anche pubblicati due testi che affrontano parzialmente quanto avvenuto pochi anni prima:

Nel 1945 esce “Un popolo piange. La tragedia degli ebrei italiani” di Giancarlo Ottani. Basato su testimonianze di ebrei italiani deportati o vittime della persecuzione razziale, dedica un breve capitolo all’eccidio di Meina.

Nel 1946 Antonio Bolzani pubblica “Oltre la rete”. Militare svizzero addetto al controllo delle frontiere riporta con precisione e partecipazione memorie personali e resoconti ufficiali dell’afflusso di civili e militari in Canton Ticino. Secondo i dati riportati dei 12.028 civili entrati in Svizzera ben 4.296 erano ebrei. Nel suo commento anticipa il dibattito sulla cosiddetta “terra d’asilo”.

«La fiumana del settembre 1943 è stata improvvisa, impetuosa e sconvolse ogni nostra migliore volontà. Il ‘rigagnolo’ che è succeduto alla fiumana fu a poco a poco contenuto, secondato e i fuggiaschi vennero accolti come si conveniva.»

Poi per quasi un decennio su quanto avvenuto calerà l’oblio.

Il contributo dei giornalisti (1954 – 1979)

1954-1955. Dell’assoluzione in Austria di Gottfried Meier, comandante del reparto SS di stanza a Intra, responsabile dell’eccidio della famiglia Ovazza, emessa dalla Corte di assise di Klangenfurt, sulla stampa italiana il 4 novembre 1954 compaiono solo piccoli trafiletti.

Il processo di Torino del giugno dell’anno successivo sarà invece seguito con molta più attenzione, in particolare su La Stampa dal giornalista Giuseppe Faraci che sottolinea le truci modalità dell’eccidio dell’intera famiglia.

Bisognerà aspettare quasi un altro decennio perché degli eccidi sul Lago Maggiore si torni poi nuovamente a parlare.

1963-1968. In occasione delle indagini che poi confluiranno nel processo di Osnabrück e durante tutte le udienze l’attenzione dei giornali italiani, specialmente quelli milanesi e torinesi, sarà del tutto significativa.

Per la Stampa di Torino, dopo un articolo di Gianpaolo Pansa, seguiranno il processo con alterne corrispondenze Giorgio Martinat e Tito Sansa.

Molti degli articoli e reportage di quelle udienze costituiranno la base per gli studi successivi.

Anche Giorgio Bocca nella sua Storia dell’Italia partigiana del 1966 dedica due paragrafi alla strage di Meina ove, tra l’altro, commenta:

La strage degli ebrei sul Lago Maggiore dà agli italiani del settembre la lezione agghiacciante del genocidio. Lezione diretta, inequivocabile, che dovrebbe mettere fine alle mormorazioni, ai dubbi. Ma l’incredulità è tenace …

1976-1986. Dopo il processo di Osnabrück l’attenzione giornalistica sulla stampa quotidiana si concentra principalmente negli anniversari decennali. Sono sempre i giornalisti, come già Bocca, a pubblicare alcuni volumi con sezioni o capitoli dedicati alle stragi sul lago.

I due giornalisti di Epoca Piero Fortuna e Raffaello Uboldi, in una loro storia cronachistica sulla vita quotidiana degli italiani dall’8 settembre al 25 aprile (Sbrindellato, scalzo in groppa a un ciuco, ma col casco d’Africa ancora in capo) del 1976, dedicano cinque pagine all’eccidio di Meina con qualche cenno agli altri episodi; in bibliografia per questo capitolo citano il CDEC.

A livello di approfondimento sono da segnalare soprattutto i lavori del giornalista-scrittore Giuseppe Mayda nel volume «Ebrei sotto Salò» (1978) che dedica un capitolo alla «Strage sul Lago», capitolo ripreso da Enrico Massara in Antologia dell’antifascismo e della Resistenza nel Novarese del 1984, e nel dossier «La strage sul Lago» dello stesso Mayda, pubblicato su “Stampa Sera” (1986).

Anche la RAI, dopo aver trasmesso lo sceneggiato americano Holocaust ne realizza uno analogo, con la regia di Vito Minore, sull’Olocausto italiano che inizia proprio con la Strage sul Lago. Il filmato è andato in onda su RAI 1 all’interno della rubrica Antenna in tre puntate a partire dal 5 giugno 1979.

Gli studi del Centro di documentazione ebraica contemporanea (CDEC)

Il CDEC rappresenta il centro di documentazione e ricerca fondamentale per qualsiasi studio su ebraismo e Shoah in Italia. Di seguito ricordo alcune opere importanti per la nostra tematica.

Nel 1974 esce «Ebrei, fascismo, sionismo» di Guido Valabrega, e l’anno successivo la documentazione curata da Giuliana Donati (Ebrei in Italia: Deportazione, Resistenza).

Nel 1991-1992 escono i due fondamentali testi di Liliana Picciotto sulla deportazione in Italia: il monumentale «Libro della memoria» e lo studio sulla persecuzione e deportazione nel milanese dove si parla anche della strage sul lago (Gli ebrei in Provincia di Milano 1943/1945).

Numerosi i contributi di Michele Sarfatti in particolare su fascismo e leggi razziali; di grande interesse «Gli ebrei nell’Italia fascista» (2000) che ripercorre l’impatto delle leggi del 1938 e il passaggio dalla «persecuzione dei diritti» alla «persecuzione delle vite».

«La maggioranza degli ebrei esitò a rendersi conto della tragica prospettiva che si era improvvisamente delineata l’8 settembre …».

Un verbo, quel “esitare” che non indica solo un ritardo nel capire a fondo, ma una sorta di impedimento psicologico, una difficoltà ad affrontare con consapevolezza ciò che la nuova drammatica situazione avrebbe comportato.

1993: nel cinquantenario le due opere di Nozza e Toscano

È nel cinquantesimo anniversario dell’eccidio che compaiono le due opere a tutt’oggi più significative, complete e articolate.

«Hotel Meina» di Marco Nozza; giornalista milanese, noto per le sue inchieste scomode, ha seguito il processo di Osnabrück ed era in contatto con Eloisa Ravenna, direttrice del CDEC che, in qualità di teste-perito, aveva contribuito alle indagini. Oltre a rendicontare lo svolgimento del processo, e pertanto con attenzione alle stragi di Baveno, Arona, Meina e Stresa (con un accenno anche a Mergozzo), il libro ricostruisce il contesto e la presenza delle SS sul Lago, mentre in appendice riporta varia documentazione quali il diario di Becky Behar e scritti relativi al salvataggio degli ebrei italiani di Salonicco tra cui parti del diario di Lucillo Merci. Nella sua ricostruzione non fa propria la sentenza finale di Osnabrück sulla responsabilità delimitata ai comandanti ed ufficiali presenti sul Lago sostanzialmente per “motivi di rapina”, ma sottolinea come più volte nel dibattimento vi siano testimonianze di “ordini superiori”.

“Il generale di brigata Theo Wish, il colonnello Hugo Kraas e il maggiore Rudolf Lehmann, futuro storico della divisione, erano giunti a Osnabrück molto preoccupati.

La loro preoccupazione era quella di smentire, nel modo più asso­luto, che nel settembre del ’43 fosse stata messa in opera, per la pri­ma volta in Italia, la «soluzione finale», ossia quella politica di ster­minio degli ebrei che aveva avuto una vera e propria consacrazione durante la conferenza del 20 gennaio 1942 tenuta a Grosser Wannsee, presso Berlino.

La «soluzione finale» doveva essere considerata «Geheime Reichssache», segreto di Stato. Tenuti a questo segreto, primi fra tutti, gli ap­partenenti alle SS. Primissimi, quelli della Leibstandarte.”[3]

«L’olocausto del Lago Maggiore» di Aldo Toscano viene pubblicato sul Bollettino storico della Provincia di Novara e diffuso dall’editore Alberti in estratto e infine ripubblicato unitamente al diario dell’internamento in Svizzera (Io mi sono salvato) nel 2013. Toscano non era né storico né giornalista, ma ebreo novarese che, nel suo percorso di salvezza verso la Svizzera si trovava a Baveno proprio nei giorni dell’arrivo delle SS. Della strage sul Lago ha saputo solo dopo la fine della guerra ed ha poi dedicato molto del suo tempo libero di impiegato di banca a redigere un saggio basato soprattutto sulle cronache da Osnabrück dei quotidiani piemontesi. La scelta del titolo, non più centrato su Meina, ma sul Lago Maggiore ha contribuito ad allargare la visuale a tutti gli eccidi avvenuti nel settembre-ottobre del ’43; tra l’altro il saggio di Toscano è servito quale canovaccio originario su cui poi è stata costruita la sceneggiatura del documentario Even 1943.

I contributi delle scuole: ricordare attraverso la ricerca storica

Alcune ricerche realizzate da scuole secondarie superiori non sono significative solo sul piano didattico, ma anche per la pubblicazione di documenti inediti e interviste di importanti testimoni.

1992: ITIS Cobianchi di Verbania: L’Antisemitismo in Germania e in Italia, classe 5^B Biologico-Sanitario (a cura del prof. Tiziano Maragno) con approfondimento sulla Strage del Lago Maggiore, documenti e interviste a testimoni.

1995: Licei scientifici “Allende” e “Cremona” di Milano: La persecuzione antiebraica in Italia dal 1938 al 1945 nelle testimonianze raccolte da un gruppo di studenti e insegnanti edito da Anabasi. Di particolare rilievo la pubblicazione dell’inedito diario della moglie di Mario Covo.

2003: Liceo Cavalieri di Verbania: Strage sul Lago Maggiore, saggio elaborato per un concorso regionale (insegnante Silvia Magistrini), inedito.

2009: Il Lago, la guerra, gli ebrei. 1939-1945, a cura del. Comune di Domaso e dei Comuni di Lugano, Meina e Riva del Garda; con allegati «elaborati delle scuole» tra cui il Liceo scientifico di Arona (Prof.ssa Laura Pezzi).

2014: Liceo Parini di Milano: Il dolore di avervi dovuto lasciare. Docenti e studenti ebrei del Liceo “Parini” dalle leggi razziali alla Shoah (1938-1945), pp. 137.

In questo caso direi che siamo all’eccellenza: lavoro di rilevante ricchezza documentale sulle espulsioni di allievi e docenti in seguito alle leggi razziali e sulla sorte di allievi ed ex allievi ebrei. Una parte cospicua è dedicata agli eccidi di Baveno e Arona.

Testimonianze e storie familiari di lutto e di salvezza

La famiglia Ovazza da Gressoney a Intra

Alexander Stille, giornalista statunitense, di origini ebraico-russe, pubblica nel 1991 «Uno su mille. Cinque famiglie ebraiche durante il fascismo». Vissuto in Italia negli anni ‘80 e ‘90 approfondisce il rapporto complesso fra ebraismo e fascismo.

«Ciò che distingueva la storia degli ebrei italiani da quella del resto d’Europa era la lunga coesistenza tra ebrei e fascisti nell’Italia mussoliniana. Il fascismo era rimasto al potere in Italia per sedici anni prima di dichiararsi antisemita nel 1938. Fino ad allora gli ebrei potevano iscriversi al Partito fascista al pari degli altri italiani».[4]

Tra le famiglie di cui Stille ricostruisce le vicende, quella di Ettore Ovazza, rappresentante della borghesia ebraica torinese e proprietario coi fratelli della banca Vitta Ovazza, con la tragica sorte sua e della sua famiglia, diventa esemplare. Fascista-nazionalista convinto[5] (Non mi toccheranno mai, ho fatto troppo per il fascismo) finirà con moglie e figli la sua esistenza passando, primi in Italia, per il camino di una scuola di Intra.

La storia della famiglia allargata (i fratelli di Ettore, consapevoli del pericolo decisero invece di emigrare) è stata raccolta da Paola Lazzarotto e Fiorenza Presbitero (Sembra facile chiamarsi Ovazza, 2009). La prefazione è di Vittorio Segre che nel 1985 aveva pubblicato «Storia di un ebreo fortunato»; emigrato sedicenne in Palestina per sfuggire alle persecuzioni razziali, oltre al racconto della sua vita Segre riporta lo scontro tra «l’italiano-ebreo» Ovazza e gli «ebrei italiani» e sionisti che a Firenze pubblicano Israel.

Mi preme sottolineare come l’eccidio degli Ovazza assuma (non parrebbe possibile) una tragicità ulteriore rispetto all’insieme delle stragi sul Lago; non solo per le modalità dell’uccisione e della eliminazione dei cadaveri (fatti a pezzi e bruciati nella caldaia), ma anche il fatto che non si trovavano nell’area del Lago Maggiore e che il comandante SS di Intra ha appositamente inviato i suoi sottoposti a prelevarli a Gressoney dopo aver estorto con la forza l’informazione al giovane Riccardo arrestato a Domodossola. E il tutto ha avuto origine dal respingimento del giovane da parte delle autorità elvetiche del Vallese.

I Levi – Bachi a Orta

Simonetta Bachi, nipote di Elena, la moglie di Roberto Levi, ha raccolto il diario e la testimonianza diretta della zia in «Vengo domani, zia» (2001): l’arresto del marito e del suocero Mario Levi[6], la loro inutile ricerca e la sua messa in salvo grazie al Podestà Gabriele Galli e al viceparroco di Omegna don Giuseppe Annichini.

«Il podestà di Orta era l’avvocato Galli, che ci avrebbe gen­tilmente accompagnati ad Omegna, da dove avremmo potuto tentare di espatriare in Svizzera. Ma la partenza fu rinviata giorno seguente, poiché in quella cittadina ci sarebbe stato mercato locale e quindi la possibilità per lui d’incontrare clienti senza dare troppo nell’occhio in nostra compagnia.

Quello che avvenne dopo ci capitò come un fulmine a ciel sereno». (p. 192)

I Covo-Steiner e Arditi a Mergozzo

Luisa Steiner e Mauro Begozzi hanno curato «Un libro per Lica. Lica Covo Steiner 1914-2008» (2011) che tra l’altro contiene il testo e il filmato di una lunga intervista a Lica.[7]

«In casa, c’erano allora anche alcuni ospiti: due nipoti di mio padre, cioè la figlia di una sua sorella e il marito. Si chiamavano Matilde e Alberto Arditi, miei cugini. Hanno portato via anche loro, assieme a mio padre [Mario Abramo Covo] e come sapete, non si è più saputo niente, non si sono mai trovati i corpi. … mi sono precipitata a Milano e sono andata dal console spagnolo. Mio padre aveva ancora la nazionalità spagnola e aveva messo sulla casa di Mergozzo una bella targa con scritto ‘’Proprietà spagnola’’, sperando servisse qualcosa. Invece non è servito a niente. Sono andata sino a Roma, all’Ambasciata; non c’era quasi più nessuno e mi son sentita dire. ‘’Ah no, coi tedeschi non si può trattare. Arrangiatevi, noi non possiamo fare niente, Assolutamente.

 E così è stato! Nessuno ha fatto niente, nessuno ha potuto fare niente. Spariti nel nulla». (p. 38)

Salvatore Segre da Stresa a Lugano

In «Tante voci, una storia. Italiani ebrei in Argentina 1938-1948» del 1998 è riportato il diario di Segre in cui racconta la sua travagliata fuga. Dalla sua villa di Stresa, avvisato si allontana la mattina del 16 settembre ‘43 pocoprima che arrivino le SS. Con problemi di salute e necessità di cure mediche si nasconde nei pressi di Biandrate, ospite di un amico per tre mesi, poi a Varese dove organizza il passaggio in Svizzera per il 10 dicembre. Verrà fermato dai militari elvetici e costretto a ripassare il confine e alloggerà in incognito in una pensione a Milano. Il secondo tentativo di espatrio sarà l’11 gennaio del ’44: partito da Bisuschio (Varese) raggiungerà Lugano dove potrà ricevere le cure ed esser formalmente accolto come cittadinolibero a partire dal 24 gennaio.

La Famiglia di Federico Jarach da Arona a Roma

La famiglia dell’industriale milanese Federico Jarach si salva grazie all’allerta dal medico Luca Canelli. Con l’aiuto del custode Luciano Visconti e della moglie, lasciano la villa in barca pochi minuti prima dell’arrivo delle SS. Dopo un periodo a Dumenza (VA) raggiungono Roma vivendo tra rischi e difficoltà e con falsa identità, sotto l’occupazione nazista, fino alla liberazione di Roma.

Sono undici le persone che scamparono alla morte; Lodovico Misrachi, non potendo seguire il resto della famiglia per motivi di salute, venne prelevato in auto dal dott. Canelli e con l’aiuto del dott. Rattazzi nascosto all’ospedale di Arona. (Cfr. «Il Comandante» di Ilaria Pavan, 2001.)

La famiglia Berger-Engel tra Vienna, Milano e Baveno

Fanny Jette Engel, moglie dell’imprenditore Ignazio Berger ucciso dai nazisti il giorno dell’Anschluss (12 marzo ‘38) resta dapprima a Vienna con la figlia Helene, fidando nella protezione del genero, poliziotto cristiano. I figli Robert e Albert erano a Milano per gestire la filiale italiana dell’impresa paterna. Sarà il figlio Robert, aiutato dal tenente Riccardo Crippa, a organizzare il suo trasferimento a Milano. Dopo i bombardamenti dell’agosto ‘43, Robert si trasferisce vicino a Lecco, mentre Fanny si rifugia a Baveno, presso l’Hotel Eden dove sarà arrestata nella notte del 14 settembre. L’intera vicenda è ricostruita dal nipote Tommy Berger nella prima parte di «Onora il padre» (2007).

La famiglia Lopez da Arona a Roveredo

Sabatino Lopez, commediografo e giornalista, la moglie Sisa Tabet e il figlio Guido nel ’43 sono sfollati ad Arona all‘Albergo Italia accolti da Gianfilippo Usellini, pittore antifascista. Il 15 settembre i due coniugi vengono avvisati da un ciclista che le SS stanno arrivando. Su suggerimento si siedono sulla panchina leggendo il giornale facendo finta di niente quando vedono arrivare la camionetta e le SS salire a cercarli. Il giorno dopo raggiungono Premeno dove si trova il figlio Guido e il 19 da Intra col traghetto tornano a Milano, nascosti dagli amici Pelizzola. In dicembre Usellini procura documenti falsi e organizza la fuga da Cannobio a Brissago.Trovano poi ospitalità al Ricovero di Roveredo Grigioni sino alla fine della guerra.

Diverso il percorso di Guido: dopo due tentativi falliti, il 1° ottobre viene accolto e internato nei campi di lavoro svizzeri. Si ricongiunge coi genitori a Roveredo alla fine della guerra.    (Cfr. Guido Lopez, Finché c’è carta e inchiostro c’è speranza, 2019).

L’espatrio di Umberto Terracini, ebreo e comunista.

Tra i salvati che hanno evitato la strage del ‘43 vi è Umberto Terracini che tra carcere e confino aveva già subito 19 anni di prigionia. Si trova in quei giorni a Orta e la cosa è nota al Podestà Gabriele Galli che lo protegge e più volte lo invita a casa sua e che, con probabilità, è tra gli organizzatori della sua fuga. Terracini, intervistato, così racconta:

“Mia nipote aveva una villetta sul lago d’Orta. Ci andammo. Ci svegliò in piena notte un fascista del luogo … Un letterato, un buon uomo. Ci avvertì che un plotone di tedeschi aveva iniziato a rastrellare il paese. Cercavano antifascisti ed ebrei. Presto sarebbero arrivati anche lì. Restammo incerti, non sapevamo come comportarci. Il segretario del Fascio ruppe ogni indugio: era venuto in barca … “Va bene” ci disse “scendete, montate sulla mia barca, venite per il momento a casa mia”. Così ci offrì un primo rifugio sicuro. Fece di più: organizzò dopo due giorni il nostro passaggio clandestino in Svizzera.”[8]

Secondo Cesare Bermani (in «Guerra e dopoguerra sul Lago d’Orta») Terracini è stato salvato dal poeta e critico cinematografico Augusto Mazzetti, «fascistis­simo ma evidentemente contrario alla persecuzione razziale

Dibattito e contributi storiografici complessivi

Tenendo conto che la Strage sul Lago fatica ad entrare nella storiografia ‘’titolata’’, provo ad indicare alcuni lavori che inquadrano il tema complessivo o ne approfondiscono singoli aspetti.

  • Del 2001 l’importante Convegno della Comunità di Sant’Egidio i cui atti furono poi pubblicati nel 2003 (La strage dimenticata): un bilancio degli studi sull’eccidio all’interno delle persecuzioni degli ebrei in Piemonte e l’inizio di un confronto fra interpretazioni diverse. Due i quesiti principali. Uno è esplicitato dal titolo: cosa ha fatto sì che «il primo eccidio di ebrei in Italia» sia stato a lungo dimenticato? L’altro riguarda l’accettazione o meno sul piano storico della conclusione del processo di Osnabrück: stragi compiute per iniziativa locale e con finalità di rapina. Non è invece frutto di volontà e ordini superiori all’interno di finalità politiche e militari connesse all’occupazione tedesca?
  •  Il volume già citato del Comune di Domaso (2009) contiene più saggi significativi, tra cui quello di Liliana Picciotto (Le stragi di ebrei in provincia di Novara): una sintesi rigorosa all’interno del quadro degli eccidi di ebrei durante l’occupazione tedesca. Mette almeno in parte in discussione la tesi della esclusiva iniziativa locale delle stragi. Riferisce che anche da parte partigiana nel 1944 fu avviata una inchiesta sugli eccidi del Lago Maggiore.
  • Tesi di Laurea di Mariella Terzoli, discussa alla Sapienza di Roma nel 2016: «Una storia dimenticata? Lago Maggiore, settembre-ottobre 1943». Un lavoro documentato di sintesi di quanto emerso negli studi più recenti con riferimenti anche sulla «Terra d’asilo» e sulla occupazione militare tedesca. Su alcuni episodi vi sono nuove informazioni rispetto agli studi precedenti. In particolare su quello di Pian Nava, di cui prima del documentario «Even 1943» poco nulla si sapeva. Tra l’altro viene accertata la responsabilità e attuazione italiana dell’arresto dei due coniugi originari di Salonicco.

Approfondimenti su specifiche tematiche

I processi

Per i procedimenti a carico di Gottfried Meir, responsabile dell’eccidio della famiglia Ovazza, il saggio di Eva Holpfer «L’azione penale contro i crimini in Austria. Il caso di Gottfried Meir, una SS austriaca in Italia», (“La Rassegna Mensile di Israel”, 2003) ricostruisce sia la sentenza di assoluzione del Tribunale austriaco di Klangenfurt (1954), che quella di condanna all’ergastolo del Tribunale militare di Torino (1955). Sentenza mai eseguita, come è noto, per la mancata estradizione da parte austriaca.

Sul processo di Osnabrück, in un primo momento ritenuto esser scaturito da una indagine sull’operato di Saevecke a Milano, oltre a quanto già riportato relativamente ai testi del 1993 di Nozza e Toscano ricordo quello di Luigi Borgomaneri «Hitler a Milano: crimini di Theodor Saevecke capo della Gestapo» (1997) che dedica un capitolo al possibile ruolo di Saevecke nell’eccidio del Lago Maggiore.

Un aspetto precedentemente ignorato è il ruolo del Comune di Baveno che ha collaborato attivamente all’istruttoria con una indagine locale e con il reperimento e l’invio di testimoni al processo; nel merito abbiamo pubblicato sul n. 1/2019 di «Nuova Resistenza Unita» l’articolo «L’istruttoria di Osnabrück e il contributo del Comune di Baveno»[9], una sintesi su quanto emerso in un fascicolo non ancora noto depositato presso l’archivio del Comune. L’articolo fa inoltre risalire al 1961 le indagini sull’operato delle SS sul Lago Maggiore avviate dall’Ufficio di Stoccarda sui crimini nazisti[10] e l’istruttoria demandata ad Osnabrück del cui distretto era originario il principale imputato, Friedrich Bremer, poi deceduto prima del dibattimento.

Occupazione militare tedesca e reparti coinvolti negli eccidi

Su questo tema abbiamo dapprima il testo di Lutz Klinkhammer «Stragi naziste in Italia. La guerra contro i civili (1943-1944)» del 1997 che in un capitolo (Eccidi programmati sul lago Maggiore) ricostruisce l’arrivo sul lago del reparto della LSSAH i cui compiti formalmente militari di presidio confini e disarmo dei reparti italiani si concretizzarono più in feste, festini, arresto e uccisioni degli ebrei e rapina dei loro beni. Parla anche delle indagini interne alla divisione Leibstandarte SS Adolf Hitler condotte da giudici militari che «finirono nel nulla, vale a dire che si interruppero in seguito a un ordine superiore».

La pubblicazione e analisi dei documenti relativi ai reparti LSSAH era stata curata nel 1995 da Carlo Gentile nella rivista dell’Istituto Storico della Resistenza di Cuneo, ‘’Il presente e la storia’’: «Settembre 1943. Documenti sulla attività della divisione “Leibstandarte-SS-Adolf Hitler” in Piemonte».

Su Nuova Resistenza Unita n. 4/2018 lo storico elvetico Raphael Rues ripercorre sinteticamente la storia del primo battaglione della LSSAH.

Il tema è ripreso in modo approfondito da Raphael Rues insieme a Mariella Terzoli sulla rivista ‘’L’impegno’’ del dicembre 2022:

«La 1a Ss-Panzer Division “Leibstandarte SS Adolf Hitler” nella occupazione della provincia di Novara (autunno 1943)». Si sottolinea come la LSSAH sia «uno dei soggetti più noti e pubblicizzati del Terzo Reich, prossimo a una dimensione tanto mitologica e apocrifa quanto distante dalla realtà … offuscando la scia di sangue e i crimini di guerra che questa unità commise in tutta l’Europa contro ebrei, civili, prigionieri di guerra alleati e prigionieri sovietici».

Se ne ripercorre genesi e attività in Francia e Ucraina e naturalmente le sue «imprese» sul Lago Maggiore con dinamica di eccidi e rapine non solo verso ebrei. Dopo il soggiorno sul Lago il reparto fu inviato sul fronte orientale dove subì gravi perdite, poi nelle Fiandre e successivi spostamenti per contrastare l’avanzata sovietica. Si ripercorrono poi i processi di Klagenfurt, Torino e Osnabrück per poi contestare la visione di una occupazione tedesca ordinata e ben gestita mentre «la pianificazione, la struttura e le responsabilità dello Stato nazista rimasero poco chiare, caotiche e mal gestite».

Salonicco 1943: tra deportazione e salvezza

La storia della prosperosa comunità ebraica di Salonicco, della sua distruzione da parte dell’occupante nazista e del salvataggio degli ebrei italiani per iniziativa del Console Guelfo Zamboni e del suo collaboratore, il capitano Lucillo Merci, ha trovato risonanza grazie alle attività dell’Ambasciata di Atene e la pubblicazione nel 2006 di «Ebrei di Salonicco, 1943. I documenti dell’umanità italiana». Numerosi poi gli articoli sulla stampa tra i quali si possono ricordare quello di Sergio Luzzatto che parla di uno «Schindler italiano» e l’intervista rilasciata a ‘’L’Espresso’’ dalla figlia di Lucillo Merci, entrambi del 2007.

Per inquadrare le origini, storia e caratteristiche dell’insediamento ebraico a Salonicco un testo fondamentale è quello di Benbassa e Rodrigue, «Storia degli ebrei sefarditi. Da Toledo a Salonicco»(2004) che si sofferma anche sugli orientamenti politici all’interno della comunità con il confronto fra il più moderno ‘’Sionismo’’ e il ‘’Sefarditismo’’ più legato a tradizione e identità ebraica specifica.

Il salvataggio degli ebrei italiani di Salonicco e degli oltre 600 che ottennero il passaporto pur non avendo cittadinanza italiana è dettagliatamente ricostruito dal giornalista Nico Pirozzi in «Salonicco 1943» che utilizza in particolare il diario originale del Capitano Merci. Inquadra la vicenda all’interno della storia della comunità con le sue luci ed ombre, compresa la figura del rabbino collaborazionista Koretz, e naturalmente quella degli «italiani che non si voltarono dall’altra parte»

« … i loro nomi sono Guelfo Zamboni e Giuseppe Castruccio, i due Consoli. … Chiamati ad operare sul campo furono Riccardo Rosenberg, Vice Console e ufficiale del servizio informazioni (SIM), Lucillo Merci, capitano del Regio esercito delegato a tenere i contatti con il comando militare tedesco di Salonicco». (p. 10)

La terra elvetica tra espulsioni ed asilo

Numerosi gli studi sul passaggio di frontiera e l’alternanza fra accoglienza e respingimenti con un’evoluzione dai testi centrati sull’accoglienza a quelli che trattano anche i respingimenti in certe fasi e per certe categorie, gli ebrei in particolare. Il volume di Renata Broggini, «Terra d’asilo. I rifugiati italiani in Svizzera» del 1993 già dal titolo è indicativo della visione positiva dell’asilo offerto. La stessa Broggini corregge il tiro nel 1998 in «La frontiera della speranza» ove parla del «capitolo oscuro» del respingimento di circa il 50% degli ebrei, riconsegnati a una sorte probabile di sterminio. Capitolo le cui responsabilità sono ancora da accertare.

In seguito a polemiche interne e accuse di associazioni ebraiche il governo elvetico ha costituito una Commissione Indipendente di Esperti con trenta storici, presieduta da Jean-François Bergier, che ha lavorato dal 1996 al 2002 presentando un voluminoso rapporto e sette studi allegati. Una sintesi si trova nel testo di Boschetti-Kreis «La Svizzera e la Seconda guerra mondiale nel Rapporto Bergier» (2016). Del 2008 il lavoro sull’area varesina di Francesco Scomazzon «Maledetti figli di Giuda vi prenderemo! La caccia nazifascista agli ebrei in una terra di confine, Varese 1943-1945».

Nel 2009 Christian Luchessa («La politica d’asilo della Svizzera dopo l’8 settembre 1943») sul tema afferma:

«Se alla maggioranza dei profughi politici si riservò una generosa ospitalità, diverso fu l’atteggiamento dimostrato nei riguardi dei fuggiaschi ebrei. Nei primissimi giorni dopo l’annuncio dell’armistizio, le autorità federali adottarono nei loro confronti una politica piuttosto liberale. La situazione mutò però rapidamente; già il 21 settembre 1943, il capo della polizia federale dichiarò che l’ammissione di rifugiati ebrei, allorché si attuava lo sfratto su larga scala dei militari, poteva causare una reazione spiacevole nell’opinione pubblica. Il giorno seguente si decise di concedere l’asilo unicamente agli Ebrei che possedevano parenti in Svizzera. Nel pomeriggio, le decisioni si inasprirono ulteriormente: si ipotizzò di respingere indistintamente tutti i fuggiaschi israeliti, poiché non vi erano notizie di persecuzioni a loro danno. Applicata in un primo momento, questa misura non fu avallata dal Consiglio federale, che consigliava di attendere l’evoluzione delle condizioni al confine».

Una sintesi più recente nel testo di Scamazzon, La linea sottile. Il fascismo, la Svizzera e la frontiera (1925-1945) del 2022 che sottolinea l’oscillazione della Svizzera fra respingimenti, terra di transito e terra di asilo.

I giusti,

La tematica dei ‘giusti’ (e dei ‘salvati’) ha iniziato ad emergere dopo l’istituzione del Giorno della memoria e la pubblicazione dei «Giusti d’Italia» (2006) riconosciuti da Yad Vashem, con l’attività di Gariwo, la creazione dei «Giardini dei Giusti» e la celebrazione del 6 marzo come Giornata dei giusti (dal 2017).

Il saggio di Coduri e Parachini, Il Lago Maggiore e la Shoah. Salvati e salvatori a Verbania (2004) cita Elvezio Coduri e sua moglie Olive Cosgrove che nascosero a Suna due famiglie ebraiche; il Comandante dei Vigili Giovanni Galli e il Podestà Ernesto Pirola impedirono che i nomi degli ebrei presenti a Verbania giungessero al comandante Max Sterl della 1° Compagnia della Leibstandarte di stanza a Pallanza.

Ne «I giusti d’Italia. I non ebrei che salvarono gli ebrei, 1943-1945» (a cura di Liliana Picciotto), oltre ai coniugi Coduri si cita Luca Canelli di Arona per l’aiuto alla famiglia Jarach e il salvataggio di Lodovico Misrachi sottratto dall’irruzione nazista. La stessa Picciotto nel libro del Comune di Domaso ricorda i coniugi Luciano e Angela Visconti, custodi di Villa Jarach, la proprietaria dell’albergo Speranza di Stresa, Franca Negri, che avvisò gli ebrei alloggiati nel suo e negli altri alberghi dell’arrivo delle SS e la segretaria comunale di Meina, Gianna Calderara, che fece avvisare a tempo Gino Ottolenghi. Possiamo poi ricordare Gabriele Galli e don Giuseppe Annichini , il pittore Gianfilippo Usellini e altri ancora.

… e gli ingiusti?

 Se una minoranza, a differenza dei più, non si voltò dall’altra parte, ci fu anche chi consapevolmente collaborò e talora ne approfittò, per razzismo, per lucro, per sudditanza all’esercito occupante. Su queste figure si è diffuso un silenzio ai limiti dell’omertà e niente è stato scritto a parte il libro di Mimmo Franzinelli che in Delatori. Spie e confidenti anonimi: l’arma segreta del regime fascista (2001) riporta anche il caso dei passatori fedifraghi. Nomi noti nel nostro ambito sono quello del Podestà di Baveno Pietro Columella con la vicenda delle false lettere che evidenzia l’attiva collaborazione con le SS anche nel tentativo di far passare sotto silenzio gli eccidi, il Podestà Umberto Testa e il Segretario Comunale Giuseppe Turino di Stresa che fornirono lista e indirizzo degli ebrei residenti come accertabile da documento in archivio nonostante il loro diniego durante il processo di Osnabrück. Il comandante dei Carabinieri di Premeno Brig. Tomaso Pronzato (Pian Nava) come evidenziato da Mariella Terzoli nella sua tesi di laurea, sulla base della documentazione sui delatori custodita dal CDEC.

Vi è poi il ruolo di collaborazione degli interpreti che hanno accompagnato le SS sia nella richiesta dei nominativi che durante gli arresti e gli interrogatori delle vittime. Nozza nel sua libro ne cita alcuni: Clemente Perazzi, Alfredo Proni, Elisabeth Von Rauthenkran e Mario Campiglio.

Questo degli ingiusti è ancora un libro tutto da scrivere.  

Ulteriori approfondimenti su singoli eccidi

Baveno

In «Memorie ritrovate», testo sull’eccidio di partigiani del giugno 1944 a Baveno, Gianni Galli dedica una sezione alla strage degli ebrei e ai pochi resti ritrovati e deposti in una tomba con i nomi delle 14 vittime, collocata a lato del sacrario intestato ai diciassette partigiani fucilati lungolago.

Franco Giannantoni con «La ragazza dalla gonna scozzese», grazie all’aiuto dei nipoti della vittima e una attenta ricerca documentale, risolve il quesito sull’identità di Carla Caroglio, arrestata con la «accusa» di essere ebrea e uccisa dalle SS nonostante fosse ariana e cattolica. C’era stato un episodio in cui la ragazza non aveva mostrato particolare piacere nel vedere la bandiera nazista, ma il motivo principale sembra esser dovuto al suo rapporto sentimentale con un ebreo. Arrestata mentre era dal parrucchiere e brutalmente interrogata dal comandante Friedrick Hans Roehwer nella sede del comando, fu poi trasferita all’Hotel La Ripa e uccisa due giorni dopo. Del suo corpo non si è più trovata traccia.

Arona

Presentato in occasione delle commemorazione dell’80mo dell’eccidio, il lavoro del medico nonché giornalista e scrittore Claudio Pasciutti, «I giorni dell’eccidio. Arona 1943» (con introduzione di Chiara Fabrizi) ripercorre con una sorta di racconto-rievocazione quella che definisce «una strage silenziosa». Costruito narrativamente sotto forma di diario (9 settembre – 25 dicembre 1944) di una immaginaria amica coetanea di Eugenia Penco, figlia della vittima Margherita Coen, il testo ricostruisce le vicende e la personalità delle vittime. Particolarmente ricca, e in gran parte inedita, la documentazione fotografica.

Meina

L’ex sindaco di Meina, Maurizio Cotti Piccinelli, in «Meina, settembre 1943. Stragi, occultamenti e amnesie» (con postfazione del teologo Giannino Piana) ripercorre il periodo dell’estate e settembre 1943 passando in rassegna personaggi e luoghi della cittadina lacustre con riferimenti alla vicenda degli ebrei italiani originari di Salonicco e alla nascita e a episodi, anche controversi, della resistenza nel Vergante. Esplicito l’intento dell’autore di sollevare da ogni responsabilità gli abitanti di Meina da quanto avvenuto nell’omonimo Hotel: al proposito ricorda il salvataggio degli ebrei residenti avvisati e nascosti come quello raccontato dall’allora quindicenne Aldo Ottolenghi avvisato dall’impiegata comunale Gianna Calderara.

Orta

Elena Mastretta sul n. 21 de «I sentieri della Ricerca» (E più bella e gioiosa era Orta) ricostruisce l’eccidio di Orta basandosi sul testo di Simonetta Bachi (Vengo domani zia) confrontato con il capitolo che la scrittrice e biografa Carole Angier ha dedicato a Mario e Roberto Levi nella sua biografia di Primo Levi (Il doppio legame). L’intento è di uscire dalla cruda e numerica rappresentazione storica degli eccidi per «conoscere aspetti della vita di Elena e Roberto Levi che non sono del tutto estranei alla strage, anche se si collocano a margine di essa». Particolare attenzione è dedicata alla personalità della «ragazza» Elena che «dal 1939 tiene un diario dal quale ci arriva l’immagine di una femminilità fragile, poco consapevole delle vere dinamiche storiche che si stanno svolgendo accanto a lei», ma che «improvvisamente» nel momento della tragedia si trasforma in donna determinata a raggiungere la salvezza portandosi appresso la ferita di un marito scomparso nel nulla senza sapere quando è stato ucciso né un luogo su cui piangere. Il titolo è ripreso da una lettera del settembre 1941 inviata dall’innamorato Roberto a Elena.

Mergozzo

Un testo non recente che è doveroso ricordare è «Quando i picasass presero le armi. Mergozzo nella Resistenza 1943-45» (1997) curato da Paolo Bologna. La memoria storica del luogo, ancor oggi attiva, di Carlo Armanini ripercorre le vicende del paese affacciato sul lago durante la guerra, compreso «L’arresto dei signori Covo-Arditi». Spicca il ricordo (Mergozzo, 15 settembre 1943) dell’allora bambina di due anni Luisa Steiner, ricordo più di immagini e percezioni che di parole. Il caldo e il cielo limpido di quel giorno di settembre, il braccio alzato di chi ha accompagnato i tedeschi, i capelli improvvisamente sbiancati di «Mati», la mano di Roberto stretta sulla spalla de lei «per sostenerla e sostenersi», lo sguardo disperato e impotente del giovane militare tedesco. E poi il lungo «non sapere» della sorte dei cari.

Novara

L’eccidio degli ebrei di Novara ha avuto modalità differenti da quelle avvenute sui tre laghi e i singoli episodi sono emersi in tempi successivi, probabilmente vittime non uccise sul luogo ma avviate e inghiottite verso la deportazione. Approfondisce questa Shoah novarese la storica Anna Cardano con due saggi pubblicati su «L’impegno», Rivista di Storia contemporanea edita dall’Istituto per la Storia della Resistenza nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia: «I sommersi del 19 settembre 1943 a Novara» del dicembre 2020 e «Alcuni aspetti della Shoah a Novara. Fatti e memorie» del giugno 2023.

L’impegno continuativo di memoria e ricerca della Casa della Resistenza

La Casa della Resistenza di Fondotoce, sin dalla erezione del Muro dei caduti che riporta nel lato sud una lapide con le vittime ebree del 1943, con attività di ricerca e iniziative di memoria rivolte sia a scuole che a un pubblico adulto, si è assunta l’impegno di ricordare attivamente l’insieme di questi eccidi e il loro contesto.  In particolare, grazie alla spinta di Mauro Begozzi, impegnandosi a superare un ricordo frammentato dei singoli eccidi, o quale appendice a quello più noto di Meina, ma a considerarli in modo unitario: la prima strage di ebrei in Italia durante la II Guerra Mondiale, l’unica con vittime unicamente ebraiche e la seconda per entità dopo quella delle Fosse Ardeatine. L’insieme delle attività si è articolata in convegni sia in occasione del Giorno della Memoria che nelle ricorrenze del settembre ottobre degli eccidi; nel corso degli anni abbiamo ospitato come testimoni e interlocutori Becky Behar, Simonetta Bachi, Luisa Steiner, il Procuratore generale Marco De Paolis, nel 2018 la Senatrice Liliana Segre, lo storico elvetico Raphael Rues e molti altri.

In consonanza con le finalità della Associazione di unire ricerca storica e archiviazione della documentazione con la predisposizione di strumenti di conoscenza e divulgazione rivolti sia a ricercatori che a studenti di ogni fascia d’età, tra il 2007 e il 2010 siamo stati impegnati nella realizzazione del documentario Even 1943. Olocausto sul Lago Maggiore che oltre alla diffusione in DVD è stato presentato in numerose occasioni; nel 2012 se ne è concretizzata anche una versione con sottotitoli in inglese e dal 2023 è anche disponibile online.

Nello stesso periodo si è inaugurato (2009) il Monumento dell’artista Carla Bonecchi che ricorda l’eccidio, collocato di fianco all’ingresso della Casa.

Oltre alle numerose iniziative sul tema con le scuole e la proposta di specifici Pacchetti didattici frutto del lavoro di ricerca bibliografico e documentale (2014) si sono avviate, all’interno della Banca dati online del nostro Centro di Documentazione, prima la sezione su L’eccidio degli ebrei sul Lago Maggiore, frutto della ricerca di documentazione negli archivi e successivamente (2020) la sezione parallela dedicata alla Deportazione nel Novarese che prende in considerazione, oltre a quella razziale, le diverse tipologie (politica, militare e civile). Sezione quest’ultima curata da Gianni Galli.

Tra il 2016 e il 2019 abbiamo pubblicato sulla nostra rivista Nuova Resistenza Unita 12 inserti speciali (comprensivi di uno curato da Raphael Rues) dedicati alla presenza ebraica nel Novarese tra il 1938 e il 1945, alla loro persecuzione e ai processi del dopoguerra (scaricabili > qui <).

Nel 2018 si è Inaugurata la mostra «Eccidio degli ebrei sul Lago Maggiore. Settembre ottobre 1943» realizzata in 21 pannelli su tela, adatti alla esposizione in locali differenti. È idonea sia a momenti celebrativi aperti al pubblico adulto sia come strumento didattico rivolto alle scuole accompagnato da lezioni introduttive e alla preparazione di giovani guide alla visita (peer education).

Alcune riflessioni. Non per concludere ma per rilanciare

Di fronte alla mole, ricca e al contempo frammentaria, di scritti e documentazione che, in modo non certo completo, ho passato in rassegna, mi sembra di poter affermare che sono maturi i tempi perché l’“Olocausto del Lago Maggiore” venga finalmente affrontato dagli storici di professione con un approccio unitario all’insieme della strage tematizzando criticamente sia le questioni controverse che le zone buie che tutt’ora permangono.

La questione centrale, già sottolineata, è relativa a quanto gli eccidi siano stati realizzati su iniziativa locale per finalità principalmente di rapina o se e quanto abbiano invece pesato indicazioni e ordini dall’alto dei comandi, della Divisione e non solo. L’eccidio del lago Maggiore rappresenta l’avvio della Shoah in Italia o un episodio laterale dovuto a deprecabile iniziativa di alcuni ufficiali e non alla prima applicazione della “soluzione finale” nel nostro Paese? L’accesso completo alle carte del processo di Osnabrück potrebbe chiarire la questione; in particolare per il ruolo dei comandi della divisione nel processo e in particolare del maggiore Rudolf Lehmann futuro storico della Leibstandarte che ha poi contribuito a quella che lo storico elvetico Raphael Rues ha definito “una dimensione tanto mitologica e apocrifa quanto distante dalla realtà” della LSSAH. Che finalità ha avuto l’indagine interna alla Leibstandarte è perché si è conclusa in un nulla di fatto, per poi essere invece “ripescata” quale giustificazione della Corte di Appello di Berlino per annullare la sentenza di primo grado? Ed entrando nel dettaglio come interpretare le differenze di comportamento fra i diversi reparti? In particolare quello di stanza a Pallanza, il cui comandante ha emanato una specifica direttiva ma non pare essersi attivato per la ricerca effettiva degli ebrei, pur presenti, in loco.

Le zone buie sono essenzialmente due: l’entità e la destinazione dei beni sottratti (abitazioni, conti bancari, valuta, gioielli ecc.) e soprattutto il ruolo italiano negli e durante gli eccidi. Non solo per quelli che ho chiamato gli “ingiusti” che hanno collaborato attivamente nel fornire elenchi e indirizzi, nel minimizzare e tranquillizzare, che hanno accompagnato le SS ai recapiti, fatto da interpreti, ubbidito ad un’autorità straniera occupante (non dimentichiamo che – salvo per l’eccidio di Intra – il Governo ufficiale è ancora quello di Badoglio) ecc., ma anche l’atteggiamento di almeno una parte consistente della popolazione che non solo “si è voltata dall’altra parte”, ma ha partecipato a feste e festini organizzati dalle SS, in più occasioni ha saccheggiato ulteriormente le abitazioni già depredate dai nazisti. Ed è proprio in questo quadro che il comportamento di “chi non si è voltato dall’altra parte” risalta come esemplare.

Vi è un punto di cui mi sono convinto e che contrasta non solo con l’opinione corrente ma anche di qualche serio ricercatore: viene quasi sempre affermato che gli ebrei erano presenti nell’Alto Novarese perché, in prossimità della Svizzera, si stavano preparando o comunque prevedevano il loro passaggio oltre confine. Sulla base delle interviste effettuate durante le riprese di Even 1943 e di quanto letto in documenti e memorie, penso al contrario che i più si ritenessero sicuri in loco. Questo è certo per chi già vi risiedeva come ad esempio i Luzzatto a Baveno, ma anche per altri come i Levi a Orta per i quali è esplicito il diario di Elena sulla contrarietà dei suoceri all’espatrio. E penso che questo valga per la maggioranza, sia per i provenienti dalla Grecia, sia da altre Località; questo essenzialmente per due motivi: il considerare la zona tranquilla a cui erano infatti confluiti numerosissimi sfollati dalle zone a rischio per i bombardamenti (e tra questi appunto un certo numero di ebrei) e soprattutto per quanto ha sottolineato Sarfatti nel suo volume sopra ricordato: la consapevolezza che dopo l’8 settembre si apriva, dopo la fase della “persecuzione dei diritti”, quella della “persecuzione delle vite” non è stata immediata ed ha “esitato” ad affermarsi e concretizzarsi. Per fare un esempio ricordo i due coniugi ultracinquantenni Humbert Scialom e Berthe Bensussan che dopo lungo peregrinare da Salonicco a Parigi per poi entrare in Italia dalla Liguria e installarsi con consistente bagaglio a Pian Nava, da cui han anche mandato cartoline a loro parenti in Olanda; se la loro intenzione fosse stata quella di raggiungere la Svizzera avrebbero di certo scelto altro percorso e altra località. Sono stati invece prelevati il 17 settembre da una squadra di fascisti[11] (o comunque di profittatori) “su segnalazione del comandante della stazione del Corpo dei Reali Carabinieri (R.R.C.C.) di Premeno.”. Consegnati ai tedeschi di stanza a Verbania il giorno successivo, di loro (e dei loro beni) non si è saputo più nulla. Nacht und Nebel, Notte e Nebbia, in tedesco ma anche in italiano.

Becky Behar. Foto di scena da Even 1943.

Scaricabile> qui <


Presentazione (36 slide). Scaricabile >qui<


Gli eccidi e le vittime (per località, date e gruppi familiari). Scaricabile >qui<


[1] Rispetto al Convegno sia la bibliografia allegata che le slide contengono alcune limitate ma significative integrazioni in particolare riferita al reperimento di alcuni brevi articoli coevi sulla stampa clandestina e a testi usciti più recentemente.

[2] Ebreo presente con la moglie ad Arona durante il rastrellamento; avvisati a tempo, riusciranno a salvarsi.

[3] Marco Nozza, Hotel Meina, Il Saggiatore – Net, Milano 2005, p. 229.

[4] Dall’edizione del 2011 (Garzanti, Milano), p. 8.

[5] Sulla attività editoriale di Ovazza fondatore della testata «La nostra bandiera», Vincenzo Pinto pubblica L’ebreo “fascistissimo”. Il fascismo ingenuo, estetico e sentimentale di Ettore Ovazza (2011), riportato poi nel testo «In nome della Patria» (2015). Sulla stessa tematica abbiamo il saggio del 2002 di Luca Ventura «Ebrei con il duce. “La nostra bandiera” (1934-1938)».

[6] Mario era lo zio e Roberto il cugino di Primo Levi.

[7] Sempre Luisa Steiner e Begozzi hanno curato «Lica Steiner» (2015) per la collana Novecentodonne. Per la storia familiare del marito di Lica, Albe Steiner, è utile la lettura di Marzio Zanantoni «Albe Steiner. Cambiare il libro per cambiare il mondo. Dalla Repubblica dell’Ossola alle Edizioni Feltrinelli» del 2013.

[8] Quando diventammo comunisti, Rizzoli, Milano 1981, p.133.

[9] Ripubblicato su questo blog: > qui <.

[10] Cfr. Gli ultimi cacciatori di nazisti” (dal giornale online il Post).

[11] Non certo dalla “Brigare Nere”, come afferma il documento rilasciato dal sindaco del luogo nel 1946, visto che il 17 settembre siamo ancora “sotto Badoglio” e le Brigate nere si costituiranno ben dieci mesi dopo, nel luglio ’44. La documentazione è riportata nella Tesi di Mariella Terzoli (cfr. sopra).

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