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Resistenza e fascismo repubblicano in due testi complementari *

23 aprile 2021

Nel 2019 esce, edito da Laterza, “Storia della Resistenza” di Marcello Flores e Mimmo Franzinelli, opera innovativa che affronta la storia complessiva della Resistenza italiana facendo tesoro degli studi più recenti a partire dalla svolta impressa da Claudio Pavone nel 1991 con Una guerra civile. Saggio sulla moralità nella Resistenza. Nel 2020 Franzinelli pubblica “Storia della Repubblica Sociale Italiana 1943-1945” opera che colma un vuoto sostanziale rispetto agli studi sul fascismo, in genere incentrati sul periodo precedente oppure, per il periodo di Salò, su singoli aspetti[i]. Due opere corpose – oltre 1300 pagine – che mantengono la stessa struttura (capitoli tematici in successione logica e cronologica, foto d’epoca e un testo-documento esemplare a conclusione di ogni capitolo) e la stessa metodologia: analisi estesa al medio periodo e costantemente intrecciata con le biografie di personaggi, noti e meno noti, che esplicitano le tematiche affrontate e ne illustrano le articolazioni non sempre convergenti. Due percorsi paralleli – Resistenza e fascismo repubblicano – e nello stesso tempo con dinamiche fra loro rovesciate.

Abbiamo voluto raccontare la molteplicità della Resistenza, il suo essere costituita da tante spinte diverse, azioni differenti, par­tecipazioni ineguali ed eterogenee, ma convergenti – pur con moti­vazioni ideali e pratiche, individuali e collettive, dissimili – verso un unico fine, quello di riacquistare la libertà, sconfiggere il nazismo, disfarsi dell’eredità fascista che aveva oscurato per vent’anni l’Ita­lia”. … “La Resistenza è stata molteplice, articolata, sfaccettata, è stata l’insieme di scelte e com­portamenti differenti che si sono intrecciati e sommati in un arco di tempo molto compresso (venti mesi)[ii].

Arresto di Clara Marchetto

Articolazione e diversità che si manifesta sin dall’inizio, anzi in più casi “prima dell’inizio” come nella vicenda della maestra trentina Clara Marchetto che copia nel 1940 la documentazione sulla corazzata Littorio per farla pervenire agli alleati, ma denunciata da un infiltrato sarà condannata dal regime all’ergastolo. Liberata nel ’44 dal Comando alleato sarà tra i fondatori del Partito Popolare triestino; denunciata dal democristiano Flaminio Piccoli nel 1949 per tradimento della Patria sarà di nuovo incarcerata e, connessa la libertà provvisoria, preferirà espatriare per non tornare in carcere.

Teresio Olivelli

Articolazione che riflette le diverse origini, molto spesso più sociali e territoriali che politiche; scelte per alcuni nate prima dell’8 settembre come per molti militari con l’esperienza traumatica della guerra all’estero, in Grecia e in Russia in particolare, che li ha distaccati dal fascismo, anche chi, come il cattolico Teresio Olivelli, che del fascismo e del culto della “razza italiana” era stato acceso sostenitore. Altrettanto articolato il supporto (il retroterra) che donne, operai, contadini, clero ecc. danno, in forme più o meno attive e convinte, al movimento partigiano.

Vi sono luoghi e situazioni che diventano implicitamente centri di formazione alla libertà.

I partigiani nascono sulle cime montuose. Sono il frutto di una se­minagione avvenuta nella seconda metà degli anni Trenta, quando una generazione di futuri promotori del ribellismo visse l’alpinismo come fattore identitario e stile di vita […] prima di impegnarsi nella Resisten­za maturarono un’esperienza e un’etica alpinistiche di prim’ordine, premessa e coronamento della scelta antifascista quale ricerca inte­riore di libertà. Molti futuri partigiani si sono formati alla Scuola militare di al­pinismo di Aosta, fondata nel gennaio 1934 e affidata alla direzione del tenente colonnello Luigi Masini. Al momento dell’armistizio Masini è generale e comanda la 3a Brigata Alpina; evita la cattura da parte tedesca, prende contatto con i primi ribelli di Brescia e di Trento, e nel 1944 assume il comando delle Fiamme Verdi (nel 1953 diverrà deputato per il Partito socialista). L’avvocato Ettore Castiglioni (1908), scalatore e importante stu­dioso, autore di numerose guide alle Alpi, richiamato alle armi nel 1942 e assegnato quale istruttore alla Scuola militare di alpinismo di Aosta, mette a buon frutto le sue capacità per condurre al confine svizzero centinaia di ricercati politici e razziali (incluso il futuro presidente della Repubblica Luigi Einaudi), aiutato da una decina di suoi allievi alpini.[iii]

Castiglioni fermato e internato dalle autorità elvetiche fuggirà senza attrezzatura né scarpe trovando la morte in montagna per assideramento. Atri caduti nati da questa esperienza sono Leopoldo Gasparotto ucciso dalle SS a Fossoli e il Colonnello bresciano Raffaele Menici che, data vita ad una formazione in Val Camonica collegata ai garibaldini, cadrà in un agguato tesogli da alcuni partigiani delle Fiamme verdi.

È questo uno degli episodi di scontro e violenza tra partigiani, come quello di matrice garibaldina commesso a Porzus[iv] o la uccisione sul Lago d’Orta del maggiore dei servizi USA William Holohan[v], episodi che una storiografia aggiornata, lasciate alle spalle le controversie legate al periodo della guerra fredda, non deve ignorare.

Sono storie inevitabilmente amare […]. Storie rimaste troppo a lungo nell’ombra, an­che per il timore di prestare il fianco ai denigratori della Resistenza […] In realtà danni assai maggiori ha prodotto un silenzio che di fatto ha amputato la complessità del movimento di liberazione nazionale, rendendolo monco e poco credibile agli occhi dei posteri.”[vi]

Se il movimento resistenziale si è alimentato di queste insorgenze dalle mille facce e, sia pur con contrasti, ha saputo convergere in un esito auspicato, inverso è il percorso della Repubblica Sociale: la storia di un tentativo irrisolto che conflitti interni, dipendenza dall’occupante germanico, esaltazione della violenza e razzismo portano a un progressivo sfaldamento.

“La RSI fu anzitutto il regno della discordia. È una storia contorta e complessa, dietro l’unità di facciata stanno linee divergenti, personaggi in rapporti conflittuali tra di loro.”[vii]

Innanzitutto il “pegno” pagato ad Hitler per la liberazione di Mussolini; il Reich il 1° ottobre annette tutto il nordest dal Trentino all’Istria e la Wehrmacht controlla direttamente tutto il territorio a sud di Roma a ridosso del fronte di guerra.

Pegno ribadito con il processo di Verona del gennaio ’44: “L’ambasciatore Filippo Anfuso (già legatissimo a Ciano) ri­ferisce soddisfatto l’apprezzamento dei vertici nazisti per la portata simbolica delle sei fucilazioni:

«Non vi è dubbio che il processo di Verona abbia qui rivelato come l’Italia Repubblicana abbia tagliato i ponti col passato e come intenda essere vicino alla Germania in ogni modo e per sempre».[viii]

RSI
RSI mappa 1943

Una “repubblica” che non riesce a diventare Stato e che si frammenta in una pluralità e conflitti di competenze.

Accanto e al di sopra di governo e Partito vi sono i Comandi germanici, ma pure i capi del­le province, i comandanti di singoli reparti militari e dei nuclei di polizia più o meno regolari. La debolezza delle istituzioni centrali lascia spazio a potentati locali, in situazioni confuse e fluide, dentro le quali le visioni ideologiche cedono il passo alla tutela di interessi concreti. Salò è la capitale immaginaria di uno Stato dove la periferia conta più di quell’improbabile centro periferico.[ix]

Uno sfaldamento crescente che miti quale quello della “fedeltà” o dei “ragazzi di Salò” non riescono a nascondere. Il gerarca Renato Ricci invia al fronte

centinaia di giovani dai 16 ai 18 anni, considerati fascisti integrali pronti a battersi e a morire per l‘idea. […] Tra i lati peggiori e meno indagati vi è il fenomeno dei bimbi-soldati. Col ruolo di mascotte dispongono di piccoli ma efficienti fucili e pugnali. Partecipano ai rastrellamenti e sono spesso privi di freni inibitori; travol­ti immaturi nel turbine della guerra, la considerano naturale: tortura­re o uccidere il nemico è un gioco eccitante, legittimato dalla giustezza della causa e dal plauso dei camerati.[x]

Uno “Stato” che vorrebbe dotarsi di un proprio esercito di leva come auspica il Ministro della difesa Graziani, senza ingerenza della Milizia e delle variegate bande in camicia nera. Per ottenerlo anche lui paga subito il pegno.

Il 6 ottobre (1943) d’intesa coi tedeschi ordina il disarmo dei carabinieri romani rei il 25 luglio d’esser stati strumento del re e di Badoglio. Reparti paracadutisti, SS e camicie nere disarma­no circa 2.000 carabinieri, destinati all’internamento e deportati in Austria, Germania e Polonia. Il 9 ottobre a Hitler e al comandante della Wehrmacht Graziani prospetta la co­stituzione di 25 Divisioni, ma gli viene concesso di allestirne quat­tro, meno di un sesto del suo obiettivo.[xi]

Il tutto intriso di un razzismo che ha radici teoriche e pratiche nel ventennio.

Il razzismo in camicia nera è autonomo da quello in camicia bruna: le discriminazioni contro i “meticci” in Eritrea e Somalia precedono di un quinquennio la svolta antiebraica del fatidico 1938. […] Il 18 aprile 1944 un decreto isti­tuisce l’Ispettorato generale per la Razza, con sede a Desenzano del Garda, «alle dirette dipendenze del Duce» che verrà diretto da Giovanni Preziosicolui che nel 1921 introdusse in Italia i «Protocolli dei savi anziani di Sion», amico dei tedeschi che lo avevano salvato e portato in Germania dopo il 25 luglio. Legato al filosofo Julius Evola (che si pregia di averlo quale «in­timo amico e collaboratore») e ad altri intellettuali virulentemente antiebraici.”[xii]

E se, grazie alla amnistia di Togliatti (22.6.1946) e alla “Legge di clemenza” (7.2.1948) di Andreotti ben pochi e poco pagheranno per i crimini fascisti, nessuna condanna sarà inflitta per i reati razziali. “Ufficialmente dunque – per la magistratura della Repubblica italiana –  la Repubblica Sociale non ha antisemiti condannati come tali.[xiii]

Il senso profondo di questi due percorsi paralleli e inversi lo si trova nel “lascito morale della Resistenza[xiv]esemplarmente rappresentato dalle oltre 600 lettere di condannati a morte raffrontato con le analoghe Lettere di caduti della RSI. Se in entrambi i casi forte è la dimensione personale e la preoccupazione per il dolore riservato ai familiari, ben diverso è l’orizzonte morale e politico di riferimento; nel primo caso orientato al futuro in uno scenario di libertà non solo agognato ma che si sente prossimo alla realizzazione, unito alla soddisfazione per avervi contribuito, nel secondo invece tutto orientato ad una “fedeltà” rivolta passato e intriso del modello assimilato del “Credere Obbedire Combattere” e della esaltazione della guerra come “verità della vita”.

Una citazione di Dietrich Bonhoeffer posta all’inizio del primo dei due volumi ci fornisce una efficace chiave di lettura per entrambi:

Chi parla di soccombere eroicamente davanti a un’inevitabile sconfitta, fa un discorso in realtà molto poco eroico, perché non osa levare lo sguardo al futuro. Per chi è responsabile, la domanda ultima non è: come me la cavo eroicamente in quest’affare, ma: quale potrà essere la vita della generazione che viene. Solo da questa domanda storicamente responsabile possono nascere soluzioni fe­conde”.[xv]

Nel cortile del campo di detenzione Wehrmacht di Berlino-Tegel, Dietrich Bonhoeffer (penultimo a destra) insieme con ufficiali dell’Aeronautica Militare Italiana anch’essi prigionieri, all’inizio dell’estate del 1944.

* Pubblicato su Nuova Resistenza Unita (Anno XXI n. 2, II trimestre 2021, pp. 12-13).

Questo numero è dedicato, fra l’altro, al tema delle diseguaglianze (di ieri e di oggi) con contributi di Arianna Parsi, Enrico Fovanna, Stefano Montani, Paolo Crosa Lenz e Bruno Fornara, al ricordo di Claudio Perazzi (Paolo De Toni) e Donatella Berra (Carla Bonecchi).

Ricordo che è possibile abbonarsi a Nuova Resistenza Unita (Euro 11) o associarsi alla Casa della Resistenza (Euro 26, compresa la quota abbonamento) presso gli uffici di via Turati 9 a Verbania Fondotoce.

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[i] Cfr. D. Gagliani, Brigate nere. Mussolini e la militarizzazione del Partito fascista repubblicano» (1999); L. Ganapini, La Repubblica delle camicie nere (1999) attento soprattutto alla articolazione del fascismo a livello locale; R. D’Angeli, Storia del Partito Fascista Repubblicano (2016) che sottolinea la centralità del PFR.

[ii] Storia dellaResistenza, p. XIVe p. 75.

[iii] Ivi, p. 298.

[iv] Ivi, p. 424-432.

[v] Ivi, p. 436-445.

[vi] Ivi, p. 436.

[vii] Storia della Repubblica Sociale, p. IX.

[viii] Ivi, p. 80.

[ix] Ivi, p. 102.

[x] Ivi, p. 179-183 passim.

[xi] Ivi, p. 315-316.

[xii] Ivi p. 409, 455-456 passim.

[xiii] Ivi, p. 468.

[xiv] Cfr. Storia della Resistenza p. 540-555.

[xv] Ivi, p XVI.

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